Incontrare un divo fa sempre il suo effetto, incontrarne uno che per te significa molto lo è ancora di più, con queste premesse e un Iphone per rubare qualche scatto, sono andata alla conferenza stampa di Spike Lee, regista di Bad 25, il documentario dedicato a Michael Jackson.
Acclamato da tutta la sala il regista si è presentato sfoggiando una tshirt raffigurante l’amico Michael Jackson, cappellino da basket e occhiale rayban. Spike Lee è qui per presentare il documentario nella sezione Fuori Concorso, ma anche per ricevere il premio Jaeger-Lecoultre Glory To The Filmaker Award.
Si inizia con le domande, viene chiesto come mai nelle tante interviste all’interno del film non ce ne sia una a Quincy Jones (collaboratore, produttore e grande amico di Jackson), il regista risponde ironicamente che forse era impegnato, ma poi sottolinea come in tutto il lavoro sia stato tenuta in grande considerazione la figura di Quincy Jones e, al suo rapporto con Michael Jackson. La seconda è sulla genesi del progetto, come sia nato e il perché, Lee fa una premessa, ricordando che proprio oggi ricade il 25° anniversario dalla data di uscita dell’album Bad di Jackson, un album difficile, visto che era subito dopo quel successo planetario di Thriller, che ancora oggi detiene il record di album più venduto al mondo, di come Michael fosse estremamente dedito al lavoro, come tutto dovesse essere perfetto, in modo tale da poter andare sempre meglio, sempre più verso il successo. Quello che ci racconta è come ci si sia sempre soffermati sul Michael Jackson artista e mai su di lui come genio creativo, nessuno sa quanto fosse dedito al suo lavoro, quanta passione e quanto impegno mettesse nella realizzazione di un album. Spike Lee ci racconta come ha vissuto il giorno della morte del cantante, della sua incredulità momentanea e della sua reazione: “Sono rimasto sorpreso dalla profondità del mio sentimento. Ho guardato il mio Ipad e mi sono reso conto che avevo un solo album di Michael all’interno, la reazione è stata quella di andare all’Apple store e farmi dare tutto quello che avevano di lui, per un anno non ascoltato altro, la mia famiglia non ne poteva più”. E ancora: “Pensate a quando è morto John Lennon, tutti hanno iniziato a cantare Imagine, ecco quando è morto Michael tutti hanno iniziato a ricordarlo con Man in the mirror, non che lui fosse un messia, ma c’è una sua performance di quella canzone di un concerto a Montreal, in cui sembra che lui non fosse li, allarga le braccia, non so bene perché, e se ne và, è da un’altra parte”.
Se n’è andato davvero “Billie Jean”, un giorno improvvisamente d’estate, lasciandoci da soli a ballare il Moonwalk, ma con un’eredità artistica degna di un grande performer quale era.
Sonia Serafini